Difficoltà per le “Blockchain 50” cinesi, e soluzioni

All’inizio del 2020 è stato introdotto alla borsa valori cinese di Shenzhen l’indice “blockchain 50”. Esso comprende le prime 50 aziende pubbliche che dichiarano di basarsi su prodotti legati alla tecnologia blockchain. All’inizio dell’anno la Cina ha altresì annunciato le proprie ambizioni legate alla blockchain e diverse aziende si sono precipitate a saltare sul carro.

Oggi, trascorsi i primi tre trimestri del 2020, secondo un’analisi dei rapporti finanziari di queste aziende, risulta che molte aziende del settore pubblico pro-blockchain sono rimaste piuttosto silenziose sui risultati legati ai propri sforzi legate a tale tecnologia.

Sembra infatti che le società, e -nota bene- parliamo di società pubbliche cinesi, stiano lottando per rimanere rilevanti nel mondo blockchain.

Scarsità di casi d’uso reali

Forse il dato più forte contro queste cosiddette società blockchain è la mancanza di casi d’uso reali.

Secondo Security Daily, tra le 262 società pubbliche auto-classificatesi come “società blockchain”, solo 23 hanno menzionato casi d’uso reali su blockchain. La maggior parte di questi casi d’uso riguardano le strutture delle catene di approvvigionamento, l’assistenza sanitaria ed i diritti digitali. Questi casi d’uso tendono ad essere su piccola scala e francamente potrebbero essere distribuiti senza tecnologia blockchain, quando invece in detti casi utilizzano un database distribuito.

Ovviamente, la maggior parte di queste aziende non sono aziende nate per sfruttare la tecnologia blockchain; il loro pane quotidiano risiede nei settori tradizionali quali l’e-commerce, il cloud, il software, i media ed infine l’elettronica. Quando queste aziende sono entrate nel mondo blockchain, hanno dovuto esplorare nuovi casi d’uso che fossero in sinergia con la loro attività principale, il che è più facile a dirsi e a farsi. Di conseguenza, la maggior parte delle aziende ha mantenuto la blockchain ad un livello di mera “iniziativa strategica”, un modo carino per dire “non è fondamentale per la nostra attività ma ci proviamo”.

Il problema risiede nei fondamentali

La Cina non è priva di casi d’uso blockchain. Al contrario, oltre 11 province hanno avviato sovvenzioni a sostegno delle società blockchain, molte delle quali si concentrano sui servizi civili basati su blockchain. Quindi chi trae vero vantaggio da tutto ciò?

La risposta è: le startup native della blockchain e le grandi aziende tecnologiche.

Aziende native della blockchain quali la Red Date con sede a Pechino hanno fatto colpo quando hanno debuttato nel Blockchain Service Network (BSN) cinese. In qualità di unico fornitore di tecnologia dietro BSN, Red Date è diventato il centro dell’attenzione perché nessuno ne aveva mai sentito parlare. Molti osservatori si sono chiesti: chi sono e da dove vengono?

Proprio la sua “oscurità” potrebbe essere la bellezza della blockchain. Siccome il campo è ancora nuovo, le startup che non hanno una “reputazione legacy” possono entrare nel settore qualora la loro soluzione funzioni. Nel caso di BSN, viene richiesto un fornitore di tecnologia che non solo comprenda le sensibilità della Cina, ma abbia anche un’esperienza con blockchain pubbliche internazionali come Cosmos e Chainlink.

Questo tipo di conoscenza approfondita difficilmente può essere trovato nelle aziende pubbliche che trattano la blockchain come un progetto collaterale.

Le grandi aziende tecnologiche come Alibaba e Tencent sono ancora alla finestra. Entrambe hanno acquisito un interesse nella blockchain perché la tecnologia è direttamente correlata a determinati flussi di entrate che caratterizzano il loro business, come ad esempio il cloud computing. (L’ hosting di reti blockchain nel cloud è piuttosto redditizio).

DI maggior rilievo è ancora che questi giganti della tecnologia si siano infiltrati in ogni aspetto della vita cinese grazie a potenti app come WeChat ed Alipay, e possono facilmente sperimentare con la blockchain senza apparire “troppo disperati” di entrare in tali meccanismi. Ant Group, il braccio Fintech ora indipendente di Alibaba, è andato ancora oltre, rilasciando la propria blockchain pubblica AntChain.

Fondamentalmente, i governi si affidano a queste società blockchain ed all’emergente tecnologia per sperimentare come usufruire di queste nuove capacità applicative. Nonostante la retorica di “Blockchain 50” diretta costruire casi d’uso basati su blockchain, in realtà mancano le risorse umane per costruire effettivamente qualcosa di interessante dal punto di vista strutturale. Come molti altri paesi, la Cina è ancora nella prima fase emrbionale di esplorazione della blockchain, e solo chi si dimostrerà capace di elaborare soluzioni finalmente concrete riuscirà a raggiungere il successo.

La Cina rivela un nuovo protocollo blockchain

La Cina “ama gli standard”. Gli standard forniscono regole ed indicazioni su cosa sia consentito e cosa non lo sia. Questo è molto importante quando emerge una nuova tecnologia perché impedisce alle persone di utilizzare la tecnologia per attività contrarie al regime. La blockchain non fa eccezione.

Un nuovo protocollo blockchain è stato dunque annunciato alla Conferenza Internet Industriale ospitata presso il Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione (MIIT) oltre che dal governo di Pechino lo scorso 30 agosto. Il nuovo standard fa parte di uno sforzo nazionale per incoraggiare l’adozione della blockchain nel campo della cd. Internet of Things industriale (IIoT)

Il progetto, nome in codice “Star Fire“, ricorda molto il Blockchain Service Network (BSN) cinese. La differenza, almeno da una prospettiva retorica, risiede proprio nel caso d’uso sottostante. Star Fire si concentra su prodotti quali: sensori, strumenti ed altri dispositivi fisici collegati in rete (piuttosto che su un puro software). Potremmo fare l’esempio delle etichette appiccicate a determinati prodotti, solo che, anziché essere semplici etichette esse fungono anche da “sensore per l’immagazzinamento dei relativi dati” su specifiche blockchain dedicate. Molti dei partecipanti alla conferenza provenivano dai settori manifatturiero, energetico e dell’industria pesante.

Ma non è possibile implementare lo stesso caso d’uso su BSN? Sì, probabilmente. Allora perché preoccuparsi di inventare un nuovo protocollo? La ragione principale alla base di ciò potrebbe essere un semplice gioco politico. Il MIIT, organizzazione governativa che si vanta di essere un’innovatrice tecnologica, deve pur conservare la propria veste di “leader del settore”. Lavorare con il settore IIoT su un nuovo protocollo blockchain, serve a consolidare la sua posizione.

Mentre la Cina continua a marciare dunque spedita nel viaggio della blockchain, sia il settore pubblico che il settore privato vorranno provare a condividere un pezzo della torta: annunciare di aver scovato un nuovo protocollo e formarne il relativo “nuovo standard” appare il metodo più semplice.

In Cina emerge un “movimento anti-CEX”

All’improvviso WeChat risuona colma di slogan rivoluzionari che incoraggiano gli investitori al dettaglio a ritirarsi dagli exchange centralizzati (CeX) e detenere per conto proprio le chiavi private dei conti. Il movimento sembra essere stato lanciato da diversi partiti contemporaneamente; ogni slogan ha un suo stile ed è sostenuto da differenti pseudonimi. Ad ogni modo, il messaggio è unanime: gli exchange centralizzati stanno sfruttando i consumatori al dettaglio. Molte persone credono che questi intermediari centralizzati stiano manipolando i valori dei token, bloccandone i prezzi durante i grandi cambiamenti di prezzo, persino listando token falsi e spostando i fondi degli utenti senza alcun preavviso. È ora di riconquistare la propria indipendenza.

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È impossibile sapere quanto si rivelerà efficace il movimento. Dopo tutto, gli investitori al dettaglio cinesi sono la spina dorsale di molte borse centralizzate. Anche ora che entriamo nell’era della yield farming DeFi, la maggior parte degli investitori al dettaglio cinesi accederà al mondo DeFi attraverso exchange centralizzati come Binance.

I rapporti hanno mostrato come le riserve di Ethereum sugli exchange fossero in calo dai primi di settembre, il che ha portato molti exchange a bloccare i prelievi di Ethereum.

Non è chiaro per quanto tempo ancora durerà questa sommossa poiché gli exchange centralizzati, dal canto loro, continuano ad innovare costantemente. (Ad esempio, alcuni hanno introdotto progetti DeFi per impedire agli utenti di passare ad exchange decentralizzati). Ciò che è comunque positivo è che anche se nella vita reale non si sta verificando una vera rivoluzione, i pionieri cinesi stanno riuscendo a replicare una sorta di mini-ribellione contro l’establishment anche nel mondo delle criptovalute.

Gate.io, uno degli exchange di criptovaluta più risalenti ma nonostante ciò meno conosciuti al di fuori della Cina, ha appena ricevuto la sua prima visita a sorpresa da parte della polizia cinese. L’11 settembre, la polizia ha visitato gli uffici di Gate a Zhongshan (una città nella provincia del Guangdong), dopo che gli utenti si erano lamentati di aver perso il loro investimento a causa di un token DeFi. Il problema sembrava derivare da Kimchi, una fork di SushiSwap.

È noto che Gate sia uno scambio crittografico “di secondo livello”, diciamo di un rango inferiore rispetto ad exchange del calibro di Bittrex, Binance e Coinbase. Tuttavia ciò lo ha reso terreno fertile per scambiare altcoin dalla piccola capitalizzazione di mercato. Molti consumatori avevano ipotizzato che la società avesse sede al di fuori della Cina da quando il governo ha bannato la maggior parte degli exchange offshore nel 2017.

Dopo che è stata diffusa la notizia che la società ha effettivamente sede in Cina, molti consumatori hanno presentato denunce alla polizia per chiedere giustizia.

Gate potrebbe aver esercitato un po’ di pump n dump nei suoi 3 anni di esistenza, ma Kimchi non dovrebbe essere un motivo valido per chiudere l’intero scambio, starà alle autorità accertare l’accaduto. E’ il token stesso che potrebbe essere il vero problema, ed incolpare l’exchange intero potrebbe essere decisamente esagerato.

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