Mining e Kazakistan, cosa succede?

Nelle scorse ore, Bitcoin e criptovalute sono tornate prepotentemente a far parlare di sè, stavolta con una accezione particolare: alcune situazioni politicamente molto delicate che stanno avvenendo in Kazakistan stanno avendo una grossa influenza sul prezzo di Bitcoin: andiamo a capire il perchè.

Kazakistan: cosa sta avvenendo?

La situazione, nel Kazakistan, è tra le più delicate. Si stanno verificando una serie di rivolte ed incidenti, dal momento che a seguito della politica adottata dalla famiglia Nazarbayev (clan che politicamente comanda il paese, nonostante formalmente sia in mano al presidente Qasym Tokaev) i prezzi del carburante si sono letteralmente impennati. Benzina, gasolio e gas, infatti, hanno subito in questi giorni la cessazione di una politica di calmierazione del prezzo del Gpl in favore di soluzioni affidate al libero mercato, col risultato di far diventare lievitare i prezzi che in poche ore sono raddoppiati.

Fra le tante misure prese per controllare le rivolte, un blocco quasi totale di Internet disposto dalle autorità.

Così, da el-dorado del mining, il Kazakistan si è trasformato in un inferno anche dal punto di vista crittografico.

Kazakistan e mining

Non sono pochi, infatti, gli appassionati di informatica che negli anni avevano allocato in Kazakistan le proprie risorse hardware, al fine di effettuare della produzione di Bitcoin a basso costo di corrente elettrica.

Il Governo, che negli ultimi giorni ha approvato un blocco totale di Internet, ivi compresi i programmi di messaggistica istantanea come Whatsapp o Telegram, ha così messo in ginocchio le note mining farm, ovvero quegli agglomerati di hardware che effettuano le operazioni di estrazione.

Questa situazione ha avuto una immediata ripercussione sul prezzo del Bitcoin, che è inevitabilmente sceso come conseguenza del mancato apporto dei miners kazaki.

Mining, e adesso?

Non serve essere degli esperti per capire come, di qui a pochi giorni, le principali mining farm del Kazakistan siano destinate a spostarsi dal paese ex URSS, per muoversi alla ricerca di una nazione sia che non abbia problemi dal punto di vista crittografico, sia che abbia un costo energetico alla portata.

Sembrano essere gli gli Stati Uniti la prossima “Mecca” del mining, dal momento che paesi come Cina e Russia hanno o vietato o imposto regolamentazioni molto particolari circa l’estrazione delle monete crittografiche.

Ad oggi, peraltro, secondo i dati dell’Università di Cambridge, sul suolo americano si concentra del 35% della quota mondiale del mining di Bitcoin; percentuale, questa, che pare quindi destinata ad aumentare.

C’è infatti da redistribuire una enorme % del mining internazionale oggi presente in Kazakistan: oggi, infatti, in quel paese si concentra ben il 18% dell’estrazione di BTC.

Altro paese papabile, in questo senso, potrebbe essere il Canada, paese in cui molte società di mining potrebbero ottenere energia a basso costo grazie alle migliaia di centrali idroelettriche operative sul territorio.

Staremo a vedere le scelte dei miners: di sicuro, il prezzo di Bitcoin tornerà a cavalcare appena la quota kazaka verrà ridistribuita in giro per il mondo.

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