Nuove rivelazioni sulla stablecoin Tether

Le stablecoin, sono valute virtuali che dovrebbero mantenere sempre un valore nominale costante in quanto legate con rapporto di 1 a 1 all’andamento del valore di cambio del dollaro americano (così come di altre monete FIAT tradizionali). Nel caso di Tether, la società aveva da sempre smentito le malelingue su come ciascuna delle stablecoin USDT immesse finora nel mercato non fosse in realtà sostenuta da un rapporto di “uno a uno” con dollari statunitensi reali, custoditi in appositi conti di riserva.

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Abbiamo visto in un precedente contributo del febbraio scorso come un’indagine dell’Ufficio del procuratore generale di New York avesse rivelato che iFinex –società che opera tramite Bitfinex- e Tether, avrebbero invece rilasciato false dichiarazioni su tali controvalori realmente custoditi, e questo forse allo scopo di nascondere rilevanti perdite riportate proprio dall’exchange Bitfinex.

Il caso d’uso di Tether

Vediamo ora nel dettaglio le possibili conseguenze di un eventuale “caso Tether”, in quanto nuove recenti informazioni a riguardo mostrerebbero più di qualche grattacapo relativo alle riserve nette di Tether. La questione potrebbe rivelarsi finanche una forma di rischio sistemico per il già ombroso mercato delle criptovalute nel suo insieme.

Come abbiamo accennato, le stablecoin in USD dovrebbero sempre mantenere il medesimo valore del dollaro statunitense. Le persone che decidono di scambiare criptovalute spesso vogliono convertire i propri gettoni digitali sottoforma di valute reali (che sono certamente molto più stabili in termini di volatilità, come ad esempio lo è dollaro americano). Ciò viene fatto al preciso scopo di mettersi al riparo dalle violente fluttuazioni del mercato crittografico, che, qualora subite, potrebbero condurre a pericolose perdite di capitali in capo ai singoli investitori.

Com’è noto, quando un’azienda effettua transazioni in dollari, essa deve seguire le regole della banca centrale che le emette, e per delega, le regole che il governo statunitense impone alla citata entità bancaria. Molti exchange di criptovalute non sempre sono dotati di conformità a tali regolamentazioni quindi non hanno bridge diretti verso le monete FIAT tradizionali, e pertanto finiscono col preferire dei surrogati di esse, quali appunto sono le stablecoin (qui sta il perno in termini di diffusione e comodità di esse).

L’ecosistema dello scambio di criptovaluta ha infatti grossi problemi nell’ottenere l’accesso al banking più tradizionale. Pertanto, adottando invece una stablecoin come Tether (USDT), si è in grado di disporre di un parametro virtuale che teoricamente ha gli stessi identici valori e funzioni, ma che può altresì essere scambiato senza piena conformità alla regolazione monetaria vigente.

Come funziona Tether?

Il modello è semplice, tu dai all’azienda emittente stablecoin un dollaro reale, loro immagazzinano quel dollaro reale dandoti in cambio un “dollaro Tether”, cosiddetto USDT. A questo punto sarai in grado di scambiare quel Tether con una qualsiasi altra criptovaluta prezzata in dollari che intendi acquistare, sapendo in cuor tuo, che qualora vorrai, saresti sempre in grado di riconvertire i tuoi Tether nei dollari reali inizialmente spesi per poter per disporre della stablecoin in questione. Un processo abbastanza semplice: hai dei dollari, con essi acquisti Tether, scambi Tether per criptovalute come se lo stessi facendo con dei dollari reali, riconverti le tue criptovalute in Tether, ed infine riottieni i tuoi preziosi dollari con un rapporto di 1:1 riconsegnado i Tether all’emittente.

Questo meccanismo però si regge su un punto che è essenziale. L’azienda che gestisce questo servizio ed emette i Tether dovrebbe teoricamente tenere un libro contabile di tutto il denaro che scorre in entrata e in uscita. Ogni dollaro in entrata dovrebbe essere abbinato ad un corrispondente Tether emesso, ed ogni Tether riscattato ad un corrispondente dollaro reale che fuoriesce dai conti di riserva.

I dollari reali detenuti nella cosiddetta “riserva” dell’azienda emittente devono essere esattamente uguali al numero di dollari Tether iniettati nel mercato, in quanto, se così non fosse, (cioè se i Tether non fossero effettivamente sostenuti da alcun dollaro in alcuna riserva dell’emittente, o comunque da un numero di dollari reali inferiore) significherebbe che una certa percentuale di possessori di questa stablecoin virtuale non sarebbe più in grado effettivamente di riscattare i propri dollari reali, in quanto inesistenti o comunque non sufficienti a tutti i possessori di Tether.

Ciò che finora è chiaro è che ad oggi la società che emette Tether ha raggiunto un marketcap pari a 58,3 miliardi di dollari virtuali. Con tali dimensioni, è altamente improbabile che una qualsiasi singola banca del pianeta abbia con sé riserve di liquidi pronte e congelate per un conto legato ad una società che opera nel settore crittografico. Nemmeno la banca più sconosciuta si assumerebbe un così folle livello di rischio.

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Allora dove sono i soldi?

Come accennato le malelingue sostengono da tempo che la società sia impegnata in qualche opaca operazione contabile in cui invece che abbinare i Tether immessi nel mercato a dei dollari che vengono realmente incamerati nei propri conti di riserva, essa produrrebbe viceversa enormi quantità di Tether non supportate da alcunchè. La verità è che ad oggi non si sà poi molto, e che le predette considerazioni rimangono speculazioni personali.

Quello che invece sappiamo per certo e che possiamo qui di seguito riportare proviene invece da cause legali in atto e da documentazioni rilasciate dalla stessa società che emette Tether.

Nel 2020 il procuratore generale di New York ha indagato sull’entità statunitense associata al commercio di Tether ed ha effettivamente riscontrato enormi quantità di false dichiarazioni.

“Bitfinex e Tether hanno coperto sconsideratamente ed illegalmente enormi perdite finanziarie per mantenere attivo il loro piano finanziario e proteggere i loro profitti “, ha affermato il procuratore generale James. “L’affermazione di Tether secondo la quale la sua valuta virtuale sarebbe sempre completamente sostenuta da dollari USA era una falsità. Queste società oscuravano il vero rischio che gli investitori hanno dovuto affrontare e sono state gestite da persone ed entità prive di alcuna licenza e regolamentazione, le quali operavano negli angoli più oscuri del sistema finanziario. Questa risoluzione chiarisce che coloro che scambiano valute virtuali nello stato di New York, e che pensano di poter evitare le nostre leggi non possono e non lo faranno. La scorsa settimana, abbiamo citato in giudizio per chiudere Coinseed per la condotta fraudolenta tenuta. Questa settimana, stiamo intervenendo per porre fine alle attività illegali di Bitfinex e Tether a New York. Queste azioni legali inviano un messaggio chiaro, ossia che resisteremo all’avidità aziendale, indipendentemente dal fatto che provenga da una banca tradizionale, da una piattaforma di scambio di valuta virtuale o da un qualsiasi altro tipo di istituto finanziario “

Tether dunque avrebbe rilasciato false dichiarazioni sulla copertura effettiva della stablecoin e sul movimento di centinaia di milioni di dollari tra le due società per coprire la verità su massicce perdite.

Secondo i termini dell’accordo siglato a febbraio con il NYAG, Tether ha convenuto di fornire alle autorità dei rapporti trimestrali sulle attività che sostengono effettivamente la stablecoin. Questa settimana sembrerebbe averlo fatto, come annunciato con orgoglio dal proprio Chief Technical Officer Paolo Ardoino su Twitter

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Ecco la ripartizione, al 31 marzo 2021 – va notato che questa è la prima volta dal lancio del 2014 che Tether ha effettivamente rilasciato un qualsiasi tipo di analisi delle sue riserve, quindi fino ad oggi sì, davvero impareggiabile:

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Come puoi vedere, il grafico a torta blu mostra che il 75,85 per cento delle riserve di Tether sono, secondo la società, garantite da “Cash & Cash Equivalents & Other Short-Term Deposits & Commercial Paper”. Il grafico a torta più piccolo, arancione, scompone quel 75,85% e si scopre che la stablecoin che affermava di essere sostenuta al 100% da riserve di liquidità lo è in realtà. . . per il 2,9 per cento (3,87 per cento del 75,85 per cento).

E per quanto riguarda il resto delle riserve? Come si può vedere nei grafici a torta, il resto delle “disponibilità liquide e mezzi equivalenti” è così suddiviso: commercial paper (65,39 per cento); depositi fiduciari (24,20 per cento); titoli reverse repo (3,60 per cento); e buoni del tesoro (2,94 per cento). La cd. “carta commerciale”, quindi, rappresenta circa la metà delle garanzie di Tether. A questo punto sorge l’interrogativo su quali siano le società che detengono il debito di Tether rappresentato da tali “commercial papers”. Chi lo sa.

Quali le conseguenze?

L’analisi delle riserve mostra come le attività di Tether siano costituite principalmente da varie forme di debito societario a lungo e breve termine. Non sappiamo se questo debito sia garantito o non garantito, né quali siano i beni che lo sostengono (se ce ne sono). E non abbiamo idea di chi siano i mutuatari. Le riserve sono quindi esposte a livelli sconosciuti di rischio di credito e di liquidità. 

Ulteriore elemento di incertezza è chiaramente il fatto che non sappiamo se i numeri riportati da Tether siano accurati o meno, in quanto non vengono certificati da alcun ente terzo di revisione contabile.

Ora questo è un grosso problema, perché in volume Tether è di gran lungo la criptovaluta più scambiata al mondo. L’80% del volume di Bitcoin viene scambiato in Tether. Se il prezzo di Bitcoin viene quotato in dollari americani ma venduto in Tether, esso potrebbe essere affetto da margini di discrepanza ad oggi sconosciuti.

Staremo a vedere nei prossimi mesi se il Procuratore Generale si riterrà soddisfatto delle riportate rendicontazioni trimestrali.

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