Consumo di energia e Bitcoin, l’analisi della BBC

Il consumo di energia in relazione a Bitcoin è da anni al centro di svariate analisi da parte degli esperti.

Una delle ataviche discussioni, infatti, è più precisamente accostata alla spesa sostenuta dell’ambiente relativa al mining, ossia il processo produttivo di calcolo utile alla conferma dei blocchi e alla erogazione di nuove cripto monete.

A questo proposito, è arrivata una nuova interessante analisi da parte della rete inglese BBC, che evidenzia come la produzione di Bitcoin, dal punto di vista energetico, sia equiparabile a quella di una grande nazione.

Bitcoin ed energia

Bitcoin utilizza più elettricità ogni anno rispetto a tutta l’Argentina” è il titolo della ricerca dell’Università di Cambridge, commissionata dalla BBC.

Il “mining” per criptovaluta, lo sappiamo, richiede pesanti calcoli informatici per verificare le transazioni. A questo proposito, i ricercatori di Cambridge hanno pubblicato uno studio secondo il quale mediamente si consuma per il mining un quantitativo di 121,36 terawattora (TWh) all’anno ed è improbabile che tale quantità cali, a meno di una drastica caduta di valore.

Gli studiosi, poi, affermano che la decisione dell’azienda di auto elettriche Tesla di investire in Bitcoin abbia ulteriormente incentivato la corsa alla produzione di Bitcoin.

Risultano interessanti le parole di uno dei principali ricercatori dell’Università, tale Micheal Rauchs, il quale ha creato uno strumento di comparazione e classificazione del consumo energetico dei paesi del mondo, di modo da rapportarli a quello del mining.

Lo strumento online ha classificato il consumo di elettricità di Bitcoin sopra l’Argentina (121 TWh), i Paesi Bassi (108,8 TWh) e gli Emirati Arabi Uniti (113,20 TWh) – e si sta gradualmente avvicinando alla Norvegia (122,20 TWh).

Questo però non è propriamente un attacco a Bitcoin o ai miners, dal momento che lo stesso ricercatore nota come la medesima quantità di energia consumata per Bitcoin sia la stessa di quella consumata negli Stati Uniti da quei dispositivi domestici sempre accesi ma inattivi durante tutto l’anno. Quindi, tra le righe, si può dire che il consumo è sì molto elevato, ma con alcune modifiche nel comportamento dell’uomo a livello globale, sarebbe pure sostenibile.

Bitcoin energia

Il Mining di Bitcoin

“Mining” lo sappiamo, è un gergo coniato nell’ambito della verifica delle transazioni Bitcoin.

I “miners”  sono tutti gli utenti in giro per il mondo che forniscono la potenza di calcolo del proprio computer con la finalità di certificare la correttezza delle transazioni.

Ogni volta che si effettua una operazione sulla rete Bitcoin, sia essa di pagamento di invio valuta, una traccia di tale operazione viene idealmente racchiusa all’interno di una sorta di “scatola” immaginaria protetta da un lucchetto virtuale. I miners hanno il compito di eseguire, tramite i loro pc, i calcoli crittografici necessari utili a scovare la (difficilissima) combinazione di quel lucchetto. Una volta che questa viene trovata, il lucchetto idealmente si apre e le transazioni vengono confermate. Per aver trovato la chiave del lucchetto, il miner ottiene una ricompensa in Bitcoin generata automaticamente dal sistema.

L’entità della ricompensa è predefinita e ben cadenzata: alla nascita di Bitcoin, nel 2008, ogni blocco veniva ricompensato con l’erogazione di 50 Bitcoin; ogni quattro anni tale cifra si dimezza, e dal maggio 2020 i Bitcoin di ricompensa sono diventati 6,25; questo per un intelligente sistema deflazionistico, regolato dal fenomeno chimatao “halving di Bitcoin“.

E’ possibile fare mining in Italia?

E’ altresì possibile fare mining in Italia, però risulta piuttosto sconveniente. Premesso che in linea teorica, servirebbero unicamente un pc e un software dedicato (cosa che peraltro avveniva nei primi mesi di diffusione di BTC, da parte di alcuni appassionati), oggi le operazioni di estrazione dei miners sono diventate sempre più matematicamente complesse, per i conti sempre più terribilmente difficili (dato testimoniato dal costante aumento dell’hash rate, ovvero il numero di cicli di calcolo necessari a completare l’operazione).  Un singolo pc non è minimamente sufficiente, dal momento che per quanto potente possa essere, non risolverebbe una transazione da solo neanche se acceso per un mese di fila a far conti 24 ore su 24. Le spese di energia elettrica, infatti, supererebbero la rendita ottenuta in BTC.

Ora gli hardware utilizzati sono sempre più costosi e veloci (un hardware all’avanguardia finalizzato al mining può costare tranquillamente oltre 10 mila euro).

Vi sono, verosimilmente, due modi per aggirare queste limitazioni imposte dalla necessità di avere un hardware potentissimo: il primo è quello di entrare nelle cosiddette “mining pools”: sono gruppi collettivi di miners che riuniscono il potere computazionale dei propri pc per poi ricevere  piccole fette di Bitcoin in caso di successo (distribuito in proporzione al quantitativo di energia elargito).

Il secondo modo è quello del “cloud mining“: utilizzando il concetto del cloud, luogo virtuale in cui possiamo immagazzinare foto e documenti, qui paghiamo aziende specializzate che ci “prestino” in remoto i loro hardware che noi reindirizziamo alle mining pools. In alcuni casi, è possibile comprare un hardware che l’azienda conserverà e farà funzionare secondo le nostre indicazioni. Ovviamente, queste aziende sono allocate in paesi stranieri in cui l’elettricità – che da noi come detto è molto cara per questa operazione – costa invece pochi spiccioli.

Il vantaggio è di avere più potere computazionale a disposizione, lo svantaggio è di dover pagare per averlo, e quindi di poter trarre minore profitto al termine dell’estrazione.

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